Ultranews #06
SMART WORKING
Il dibattito sullo smart working è tornato di attualità a seguito delle recenti novità introdotte dal decreto Lavoro. Ma si può ancora parlare di una risposta a un tempo di crisi o di una tendenza oppure ci riferiamo a un fenomeno che rappresenta una nuova filosofia di vita e produttività?
Nelle ultime settimane si è tornato a parlare sui media di smart working, a seguito dell’approvazione del Senato al disegno di legge di conversione del decreto Lavoro che, fra le altre misure, prolunga lo smart working per i lavoratori super fragili in scadenza il prossimo 30 giugno. La proroga in questione riguarda fino al 30 settembre i dipendenti del settore pubblico e privato che siano affetti da patologie croniche considerate gravi e con un compenso clinico scarso e fino a fine anno i genitori di minori di 14 anni a patto che questa modalità sia compatibile con la professione svolta dal soggetto che la richiede e l’altro genitore, se presente, non sia beneficiario di ammortizzatori sociali o non lavori. Ma, al di là del dibattito di cronaca, da cui prendiamo spunto per tornare sul tema, cosa significa smart-working? E perché all’esterno è diffuso in molte aziende, anche multinazionali con notevole soddisfazione per datori di lavoro e lavoratori? Lo smart working è un modello organizzativo che a torto viene in Italia sovrapposto al concetto di lavoro da casa o telelavoro. Noto anche come Lavoro Agile, è – secondo la definizione data dall’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano – «una vera e propria filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all’interno di un’azienda che si basa su quattro pilastri fondamentali: revisione della cultura organizzativa, flessibilità rispetto a orari e luoghi di lavoro, dotazione tecnologica e spazi fisici».
Si tratta di un fenomeno sempre più diffuso, anche in Italia, non solo nelle grandi aziende, ma anche nelle PMI. Non un “effetto moda” o la risposta a un momento di crisi, ma una nuova forma di pensare alle condizioni per una reale produttività dei lavoratori. Soprattutto oggi, a fronte della diffusione crescente di tecnologie digitali e devices e alla diffusa propensione delle persone alla interazione e relazione virtuale.
Secondo un recente studio condotto dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano su un campione di aziende italiane con un numero di dipendenti compreso tra i 10 e i 250, è emerso che il 18% delle aziende lavora già utilizzando lo smart working, sebbene non abbia la struttura adeguata a farlo mentre il 12% dispone della struttura e dell’attrezzatura necessaria per lo smart working. Il passaggio allo Smart Working è molto di più, dunque, di un progetto di innovazione tecnologica. Significa rimettere in discussione stereotipi relativi a luoghi, orari e strumenti di lavoro consentendo alle persone di raggiungere al tempo stesso una maggiore efficacia professionale ed un miglior equilibrio tra lavoro e vita professionale.