Ultranews #06
TRE GIORNI DA RACCONTARE
Ultraspazio Club ha ospitato a fine maggio la mostra d’arte “The Tree of Life”, che ha usato gli scenari digitali e l’intelligenza artificiale per capire come l’uomo potrebbe diventare grazie all’ibridazione tra umano e artificiale.
Mostra curata da Simone Sensi.
Ultraspazio Club è il “flagship place” di Ultraspazio, una realtà che ha come principio fondante questo headline: “Il coworking dove, quando, come vuoi”. Una dichiarazione che spinge a fare della sua “vetrina” un luogo mutante. Una realtà ibrida capace di ospitare sia un think tank focalizzato sul cambiamento sia in grado di proporsi come luogo perfetto per un brand che ha una sfida da raccontare.
Farne per soli tre giorni una galleria d’arte protesa verso le frontiere più avanzate dell’innovazione è stato il test, riuscito, per verificarne le potenzialità. ”The Tree of Life” ha parlato, quindi, di nascita e rinascita, di cambiamento e di “contaminazioni” utilizzando la creatività di quattro artisti: Andrea Crespi, Giuseppe Lo Schiavo, Leonardo Petrucci e Mitch Laurenzana che hanno fatto incontrare la loro poetica artistica con l’intelligenza artificiale.
È nato così un racconto fatto di commistioni, fusioni e convivenza tra uomo, natura e tecnologia, tre elementi spesso in conflitto che a Ultraspazio Club hanno tentato di sperimentare non solo una convivenza possibile ma voluto indicare anche un percorso e, forse, un destino.
La mostra ha accolto gli ospiti in una stanza completamente buia (soluzione necessaria per creare uno stacco netto tra il mondo reale e il mondo poetico). Una stanza popolata di video-ritratti nati dal dialogo tra le parole dell’artista MiTch Laurenzana e il tentativo dell’intelligenza artificiale di tradurre quelle parole in volti e in personalità.
L’autore è partito da una considerazione di base: “Oggi vogliamo tutti essere bellissimi, ma si è chiesto cosa accadrebbe se alcune entità s’impadronissero di noi (come succede spesso nei romanzi e nelle serie tv distopiche) ma un “bug’ o un errore di trasmissione disegnasse sui nuovi volti lo stato d’animo delle persone invase e non il loro aspetto esteriore”. Una base di partenza provocatoria che ha prodotto gli (in)HUMAN: esseri o entità che (come in un “Ritratto di Dorian Gray” al contrario) mostravano al mondo il riflesso estetico delle nostre ansie e paure. Ne è nata una galleria di ritratti stilisticamente ibridi capace di rendere pubbliche le tensioni e le contraddizioni psicologiche e sociali da cui siamo attorniati.
La seconda stanza riacquistava la luce naturale per restituire al visitatore la bellezza dell’ambiente settecentesco caratterizzato dal ritratto del “padrone di casa” il Conte Vittorio Amedeo Costa Carrù della Trinità esposto (in un modo piuttosto eccentrico) sul soffitto. Lorenzo Petrucci, l’artista romano Lorenzo Petrucci ha sfidato il tempo e la storia utilizzando una divinazione-provocazione. Si è impadronito del ritratto del nobile che edificò il palazzo per immaginare, in alleanza con l’intelligenza artificiale, come sarebbe potuto diventare quel ritratto dopo avere attraversato nel corso di duecentocinquant’anni cambiamenti sociali e culturali, guerre, crisi economiche e pandemiche ma anche trionfi e sfide.
Ne è nato un ritratto che conservando la stessa postura dell’originale è diventato un ibrido tra un uomo e una fenice: creatura mitologica simbolo di forza e resilienza. Di nuovo Dorian Gray di Oscar Wilde sullo sfondo ma questa volta oggetto di una mutazione clamorosa.
Andrea Crespi ha utilizzato la Sala dei Quattro Elementi per reinterpretare un’opera di Renè Magritte: “Gli Amanti”, dipinta nel 1928 in cui un lenzuolo bianco avvolgeva le teste di due persone che stavano per baciarsi impedendo loro di trasformare il desiderio in fusione. L’artista ha reinterpretato l’opera ponendo di fronte una bellissima donna (forse “ex umana”) e una figura robotica lasciando all’immaginazione del pubblico il dubbio su questo rapporto che in futuro potrebbe diventare plausibile.
L’artista, forse per consolarci, ha affiancato a questo salto nel futuro un enorme David di Michelangelo, chiamato “David dei Cento”. Un’opera realizzata in formato 1:1 e da cento bambini dell’Art Factory di Dinamo Camp ognuno dei quali, con la guida di Andrea Crespi, aveva dipinto soltanto una delle righe scure dietro alla quali l’autore nasconde-protegge i suoi protagonisti (rapiti dal passato”. Cento bambini che avevano scoperto il bellissimo David disegnato da loro solo quando erano diventati spettatori della loro stessa opera
“The Tree of Life” terminava nella Sala Reale affidata a Giuseppe Lo Schiavo: artista visivo che affronta gli argomenti più caldi della nostra epoca: la commistione, la fusione e la convivenza tra uomo, natura e tecnologia. Il suo è stato il doppio racconto che ha chiuso il percorso della mostra. Da un lato uno sguardo rivolto alla natura e alla storia offerto attraverso due finestre virtuali affiancate: una affacciata soltanto su un mare senza tempo e l’altra affacciata sullo stesso mare ma in compagnia di una scansione 3D della testa di marmo di Hermes esposta al Met di New York. Sulla parete opposta “Tecnogenica” che celebrava l’incontro tra tecnologia e futuro mettendo in scena una scenografia ibrida che combinava elementi teatrali contemporanei, natura, antiche rovine ispirate al sito Unesco di Palmyra e robotica.
Uno sguardo al passato e uno ad un super-futuro, dunque, perché̀, come sostiene l’autore: “Non è interessante che mi si ricordi per lo stile; ma mi interessa molto di più̄ essere ricordato per un concetto: il dialogo uomo, scienza, tecnologia e postumano”. Un dialogo tra diversità che affascinano e spaventano. Avviato da Ultraspazio Club per iniziare a capire se l’albero della vita (il famoso “The Tree of life” della mitologia) offrirà̀ frutti positivi nati da un sano equilibrio tra umano, naturale e tecnologico. Difficile? Certo, ma assolutamente necessario.